Turislucca

Pieve di Santa Maria Assunta a Diecimo

Pieve di Santa Maria - Diecimo

Attraversato il Torrente Pedogna, la via Clodia Secunda transitava proprio davanti alla Pieve di Diecimo, la quale, come madre amorosa, era la prima ad accogliere i viandanti e i pellegrini e l’ultima a salutarli. La Pieve di Santa Maria Assunta, così come oggi ci appare, è frutto di interventi di ampliamento iniziati da Matilde di Canossa, nel corso del XI secolo. La chiesa originaria, forse dedicata ai santi Gervasio e Protasio, era a navata unica, di dimensioni limitate e già fatiscente nel X secolo. La margravia di Toscana, Matilde di Canossa, è passata alla storia per essere stata una grande donna di Stato, ultima rappresentante di un sistema feudale che stava andando incontro al declino, combatté con fierezza a fianco del papato durante il periodo della lotta per le investiture. Di origine longobarda governò su mezza Italia, da nord fino al lago di Bolsena, si prodigò affinché chiese, strade, ponti, fossero ristrutturati, rinforzati e utili alla causa, consentendo una viabilità fluida e il più possibile comoda da e verso Lucca, luogo a lei caro, città paterna e sede del Vescovato di Anselmo da Baggio, suo amico e confidente.

Oggi la Pieve di Santa Maria Assunta si presenta come una tipica struttura romanica costruita con calcare massiccio locale proveniente da una cava sita nei pressi del paese di Dezza, chiamata “cava del pulpito” proprio in ricordo dell’estrazione della pietra utile alla creazione del manufatto religioso. La chiesa è a pianta rettangolare e di notevoli dimensioni. Esternamente non ha molti elementi decorativi, fedele allo stile romanico lucchese. Le superfici murarie completamente lisce sono interrotte solo dalle feritoie e dalle porte di ingresso, più volte spostate o ampliate nel corso dei secoli. Nella facciata, il grande ingresso originale, è sormontato da un architrave decorato con una scena bucolica: due contadini sono intenti nella raccolta dell’uva oppure nella potatura dei tralci. Sono raffigurati anche alcuni animaletti e un elemento apotropaico: una testina ghignante posta proprio al centro della scena, che guarda e ammonisce chi entra, un tipico tipico elemento del medioevo quando si solea mescolare credenze profane a rappresentazioni sacre. L’interpretazione più accreditata per questo architrave è che rappresenti il passo evangelico di Giovanni 15:Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Sul lato nord del fabbricato è visibile un tipo di muratura completamente diversa. Si tratta del muro appartenente alla chiesa antica, inglobato nella nuova struttura sviluppatasi verso sud con l’ampliamento della chiesa da una a tre navate. Da notare le due mensole che sorreggono l’architrave della porticina laterale della chiesa prospiciente al campanile, sono elementi di recupero finemente scolpiti in forma di foglie, forse pezzi di un cornicione o di un capitello. Questi elementi decorativi molto antichi, probabilmente appartenenti alla prima chiesa edificata nel VII-VIII secolo. Interessante è l’ abside, che conserva i peducci che fungono da mensole agli archetti ciechi. Queste piastrelle sono decorate con elementi stilizzati, allegorici diversi l’uno dall’altro, si vede il serpente che si morde la coda, simbolo dell’eternità, si scorgono motivi floreali stilizzati e simboli escatologici. Ma è la visione d’insieme che suscita meraviglia agli occhi del visitatore.

A ridosso dell’abside svetta la torre campanaria. La sua costruzione è tarda, rispetto a quella della chiesa, risale infatti alla prima metà del 1200, periodo in cui la torre campanaria ebbe soprattutto funzione di torre militare, corredata da cella di detenzione al piano terra. Presso l’attuale canonica erano ubicate scuderie e locali per le guarnigioni, ancora oggi si intravedono gli archi murati presenti nella facciata della canonica. Alcune porte murate, poste in alto a fianco dell’abside della chiesa e nel campanile, in posizione oggi inaccessibile, fanno intuire la presenza di un passaggio aereo realizzato con ponti e impalcature di legno che consentivano al parroco di raggiungere i luoghi sacri e di suonare le campane senza scendere nelle zone utilizzate dai militari. Si narra che, durante la costruzione della torre campanaria, l’abside della chiesa subì un crollo. Ai piedi del campanile, dove ora si trova un bel prato verdeggiante, era ubicato il cimitero. Al suo interno la chiesa si divide in tre navate, separate da pilastri bicromi. Il soffitto, originariamente a capriata in legno, fu sostituito nel XVII secolo da volte a crociera decorate con stucchi, tipiche del periodo barocco. Un reperto molto interessante si trova subito a sinistra dell’ingresso principale, si tratta di un sarcofago di epoca romana in marmo bianco ricavato da un unico blocco, riccamente decorato ed intero risale al IV secolo d. C. Il marmo proviene dalle Alpi Apuane e fu trasportato su chiatta trainata lungo il fiume Serchio. Pare che il sarcofago appartenesse ad una donna di alto lignaggio data la sepoltura in un così pregiato manufatto. Il fatto che appartenesse ad una donna, lo dimostra la figura sulla parte centrale del sarcofago rappresentante una donna che si porta le mani al petto. Le due teste di leone che ghermiscono le prede, poste ai lati, hanno fatto denominare il sarcofago con l’appellativo LEONOS. Oltre che come riferimenti allo status del defunto, i feroci leoni sono stati interpretati anche come motivi apotropaici, per spaventare chiunque volesse avvicinarsi con intenzioni malevole al sarcofago. Ma chi era la donna del sarcofago? Purtroppo non esistono documenti a riguardo. Il sarcofago è sicuramente originario di Diecimo che fu un presidio romano importante. Dopo la sconfitta del popolo ligure apuano nel 155 a. C., popolo che abitava nel territorio delle valli del fiume Serchio e del torrente Pedogna, i romani penetrarono le valli, realizzando strade e occupando i villaggi abbandonati.

Pieve di Santa Maria - Diecimo

Il territorio venne affidato ai veterani di guerra. In pianura si realizzarono la centuriazione mentre nelle zone montane veniva loro assegnato un presidio su di una porzione di territorio che avesse una valenza produttiva, commerciale, o strategica. Diecimo era naturalmente un punto strategico posto all’intersezione di due valli e di due corsi d’acqua, successivamente incrocio viario di grande importanza tra la strada che conduceva verso nord, la via Clodia Secunda, e la via che, tramite il passo di Lucese, portava al mare verso attuale Versilia. Diecimo era sicuramente il più importante presidio della zona con strutture governative, una basilica, un tempio, una villa fattoria residenza del centurione. Probabilmente una dei tanti centurioni che si sono succeduti a Diecimo aveva una moglie che forse morì in giovane età, tanto da dedicarle un sarcofago così prezioso. Col passare dei secoli il sarcofago fu posizionato vicino ad una fonte ed utilizzato per abbeverare gli animali. Purtroppo l’acqua, traboccando dai bordi, ha eroso irrimediabilmente le decorazioni, ormai leggibili a fatica. Quando ne fu riconosciuto il valore, fu trasferito in chiesa. Degli arredi interni risalenti al XII secolo si conserva il Fonte Battesimale, a pianta esagonale, posto su di un basamento rialzato in pietra. I pannelli sono privi di decorazioni e sormontati da capitelli, alcuni realizzati in epoca più tarda. Il fonte battesimale è l’elemento essenziale all’interno di una Pieve, la Pieve è infatti la chiesa principale, ove si amministra il battesimo. Altri elementi di arredo dello stesso periodo sono le parti di un pulpito che purtroppo fu smantellato durante il periodo della controriforma nel XVII secolo. Il pulpito era paragonabile a quello del duomo di Barga e sicuramente fu realizzato dalle stesse maestranze.

Si trattava di scultori specializzati provenienti dal nord Italia, i cosiddetti Maestri Comacini, che durante il XII secolo realizzarono la maggior parte degli elementi decorativi presenti sul territorio lucchese. Del pulpito rimangono i due leoni stilofori (portatori di colonne) che oggi si trovano ai lati della scala per giungere all’altare maggiore, e la figura del profeta Isaia, posto su di una lesena lungo il muro sud dell’edificio. I due leoni sono di una stupefacente bellezza, statici in una posizione di forza, ben visibile la muscolatura e la possenza fisica, essi sovrastano due figure differenti: il primo un’idra a due teste mentre il secondo sovrasta un uomo. Primo leone: per quanto riguarda l’idra, trattandosi di un animale mitologico, lo si identifica con il maligno. Una testa morde il labbro inferiore del leone, l’altra testa, alla fine del corpo contorto, gli morde una natica. Il leone è comunque in una posa imperturbabile, il male aggredisce, ma il bene è vittorioso. Secondo leone:esso sovrasta un uomo che lo pugnala a fondo. Esistono diverse interpretazioni di questa rappresentazione, la più avvalorata è che l’uomo rappresenti in realtà i peccati dell’umanità, che feriscono Dio ma che soccombono sotto la sua potenza. Un’altra teoria riconosce nell’uomo con caratteri somatici africani, o quanto meno medio orientali, una sorta di elemento pagano, eretico, estraneo alla religione cattolica.

Probabilmente le crociate avevano influenzato anche l’arte e il messaggio che si voleva trasmettere. Il profeta Isaia era sicuramente la figura centrale del pulpito, che doveva essere decorato con scene evangeliche. Sul libro aperto che tiene davanti a sé si legge: Et egredietur virga de radice Jesse, et flos de radice ejus ascendet. E sorgerà dalla radice di Jesse un ramo, e un fiore dalla sua radice ascenderà. Si tratta della profezia che riguarda la nascita di Maria, la madre del Cristo, così decodificata dai teologi medievali e contemporanei: fiorì il germoglio di Jesse, l’albero della vita ha donato il suo frutto. Maria, figlia di Sion, feconda e sempre vergine, partorisce il Signore. Nella chiesa è presente anche un Tabernacolo per gli oli sacri della scuola di Matteo Civitali (1436-1502). Sugli altari laterali si trovano due tele, una dedicata alla Madonna del Rosario, realizzata da Giovanni Marracci (1637-1704), l’altra raffigura la crocifissione, presenti la Madonna, San Giovanni Evangelista e San Giovanni Leonardi che indica la Pieve di Diecimo. Presenti in chiesa altre due tele. Una raffigura la Vergine e San Nicola da Bari realizzato dal pittore lucchese Pietro Nocchi, firmato e datato 1849, l’altra una Vergine in trono col Bambino e quattro santi, di Domenico Andreoli firmato sul retro e datato 1705. Quest ultimo è sicuramente il pezzo più importante, una tela raffigurante la deposizione intitolata il Compianto, dipinta da Giuseppe Antonio Luchi detto il Diecimino (1709-1774), siglato e datato sul retro 1752. Sulla parete destra, nei pressi dell’ingresso laterale della chiesa, si conserva ancora oggi una lastra medioevale, in pietra scolpita, rappresentante un cavaliere un po’ bizzarro. Chi non conosce il famoso re Pipino di Diecimo? Non il famoso Pipino il Breve di francese memoria, padre di Carlo Magno, ma un omino strano, corto corto, con la testa attaccata al busto, in groppa ad un cavallo un po’ bislacco… Non si sa quando la lastra fu posta all’interno della chiesa, e neppure il perché.

Si suppone provenga dall’antico cimitero situato nei pressi del campanile. Non sono state mai fatte ricerche approfondite su questa opera. Probabilmente la lastra originaria era più grande ma in seguito ad una rottura la parte rimanente è stata malamente restaurata realizzando una nuova testa al cavaliere più piccola addirittura del suo piede. L’armatura indossata dal cavaliere è tipica del XIII-XIV secolo. In quel periodo il cavaliere indossava gambali con speroni, una cotta di maglia con sopra un pettorale o un busto in metallo, guanti in cuoio, un tipo di elmo detto barbuta. Aveva inoltre una lancia e uno scudo con lo stemma di famiglia. Osservando il cavallo si nota la presenta di finimenti molto accurati e bardatura elegante che denotano che il cavaliere raffigurato era di una certa importanza. Sicuramente alla realizzazione del cavaliere hanno lavorato diversi artigiani. Si passa infatti dall’accuratezza nella realizzazione del busto e della testa del cavallo, dotata addirittura di un orecchio che usciva tridimensionalmente dalla lastra, alla sciatteria nella realizzazione delle gambe ciondolanti, della testa di dimensioni ridotte, gli occhi e bocca simili ad un mascherone.

Si può ipotizzare che lo scultore incaricato sia morto, lasciando il lavoro nelle mani di incompetenti, oppure che non abbia avuto garanzia del pagamento richiesto per un lavoro così complesso e lo quindi abbia fatto terminare a qualche allievo inesperto, oppure, dato il periodo storico, che sia avvenuto un cambio repentino di amministrazione richiedendo di concludere l’opera malamente in fretta e furia. In seguito ad accertamenti diretti, con rilievi fotografici e ispezioni manuali anche con sistemi ottici di ingrandimento, si è stabilito che la testa, come i guanti, sono stati scolpiti direttamente sulla sella. Per quale motivo si è volutamente rappresentare la testa sulla sella? Viene da pensare alla cronaca scritta del funerale di Cangrande della Scala, uno dei più grandi condottieri italiani, morto avvelenato nel luglio del 1329. La cronaca riporta che la mattina del 24 luglio la salma entrò a Verona e fu avviato alla sepoltura. Il cimiero e la spada sguainata erano esibiti su di un cavallo, la corazza e la barbuta su di un altro, mentre altri dieci cavalli portavano scudi rovesciati e lo stemma della scala. La corazza e la barbuta erano quindi su di un cavallo. La corazza consisteva solo nei gambali e nel pettorale che, senza corpo, non avrebbe potuto mantenere la posizione eretta, quindi, di conseguenza, la barbuta, ossia l’elmo, era poggiata direttamente sulla sella come quello del nostro breve cavaliere. Si potrebbe quindi ipotizzare che l’opera, non sia già la rappresentazione di un cavaliere vivo, ma del suo funerale. Era forse una usanza consueta, quella di traslare il corpo accompagnandolo con le sue insegne e i suoi vessilli sulla cavalcatura? O forse si tratta di un omaggio a Cangrande della Scala, i cui figli appoggiarono la causa lucchese contro i pisani? Se così fosse, l’arme, o stemma dovrebbe essere quello di Cangrande della Scala invece qui si vede chiaramente una rosa a cinque petali, proprio al centro dello scudo, un elemento molto comune negli stemmi.

La rosa è simbolo di nobiltà e purezza. Nell’araldica toscana del XIV secolo la presenza di questo fiore può variare da una rosa fino a sei. In quel periodo, a Lucca, c’erano diverse famiglie che come simbolo avevano una rosa a cinque petali, ma una di queste erano i Gherardi della Scala, imparentanti con la famiglia scaligera. Che ci sia un nesso? Resta il fatto che questo buffo cavaliere, a distanza di settecento anni, fa ancora parlare di sé con molti misteri ancora da svelare.

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